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RAPSODÌE è il primo progetto editoriale di ANABASI, realizzato con Marzia Migliora, Il Pavone e Francesco Simeti. Il progetto ha la forma di un libro d’artisti, una boîte-en-valise immaginabile come una scatola-libro: una mostra ricomponibile in una fruizione dilatata nel tempo e nello spazio. Si potrebbe definire una mostra prêt-à-porter, in cui lo spazio espositivo è la scatola stessa come proiezione ideale di uno locus personale.

Il termine RAPSODÌE, dal greco “rapsodìa” [ραψωδία], riflette il carattere etico e poetico di alcuni antichi racconti di gesta e miti tramandati nel corso del tempo. La tematica scelta per questo progetto è il ruolo del mito nella contemporaneità, sviluppato attraverso alcune delle sue ascendenze e trasposizioni personali, sociali, culturali e artistiche affidate ad un’idea ancestrale di narrazione, composita e stratificata.

Fa da guida lo scheletro di una struttura di nuclei narrativi o mitèmi che rimangono invariati nel tempo e nelle diverse culture, permanendo come generatori di nuove mitologie al mutare della loro reciproca relazione e che incidono puntualmente sulla vita personale, oltre che sull’esistenza sociale, artistica e umana di ognuno degli artisti coinvolti. Le loro voci diverse si rimandano e s’intersecano fra loro, lasciando al fruitore una soglia d’interpretazione individuale. Si ripropone, in veste collettiva, l’antico ruolo del rapsodo, il quale canta il suo tempo senza porre giudizi, arricchendo la coscienza e la conoscenza dei propri contemporanei.

Alla pubblicazione seguirà un programma di presentazione della stessa nelle città di Milano, Torino, Venezia, Roma, Napoli, Palermo.


Marzia Migliora

Marzia Migliora nasce ad Alessandria nel 1972. Vive e lavora a Torino.

A partire da esperienze quotidiane condivise, da sempre Marzia Migliora attinge alla memoria personale e collettiva come humus d’indagine su alcune tematiche legate alla condizione umana: la famiglia, l’identità individuale e sociale, il lavoro, la fame e il denaro, rintracciando così una linea di continuità tra il passato e il presente. Ne deriva un lavoro poliglotta che trova voce nell’utilizzo di diversi linguaggi artistici, quali la performance, l’installazione, il disegno, il suono, la fotografia e il video. Aspetto imprescindibile del lavoro è il legame di volta in volta instaurato con il pubblico a cui è richiesto un coinvolgimento attivo.

Per RAPSODÌE Marzia Migliora realizza il progetto Germinal, dal titolo dall’omonima opera letteraria di Émile Zola del 1885, per indagare il mito della cura della terra legata al processo di ricerca artistica.

Germinal corrispondeva al settimo mese del calendario della Rivoluzione Francese, che cadeva nel periodo compreso tra il 21/22 marzo e il 19/20 aprile. Negli stessi mesi del 2020, l’artista inizia a lavorare a una serie di sei disegni, poi trasposti su T-shirt bianche come manifesti da indossare. L’opera completa è composta da sei tavole dedicate ad ogni giorno della settimana lavorativa. Queste, serigrafate su una serie limitata di 300 T-shirt, sono singolarmente confezionate in una busta da farina personalizzata con un frottage originale a tema vegetale. A compendio di tutto, un libretto illustra le sei tavole e le fotografie delle corrispettive T-shirt indossate dagli ortolani degli Orti Generali di Torino a Mirafiori, protagonisti di una serie di ritratti fotografici. All’interno del libretto è presente anche una bustina contenente una selezione di semi di grani duri biologici Cappelli, Saragolla e Strazzavisazz, da piantare come atto ultimo alla conclusione del progetto.

Come in un manuale pratico, la coltivazione della terra è affiancata al processo di ricerca artistica. L’arte e l’agricoltura hanno in comune il nutrimento, l’attesa, la cura, la crescita, il lavoro e la vita. L’una è nutrimento del corpo, l’altra della mente.

Germinal intende rendere manifesto il processo e la ricerca artistica, pratiche che hanno la necessità di essere difese e valorizzate come risorse indispensabili per il futuro del patrimonio culturale, artistico e sociale.

Le opere di Marzia Migliora sono state esposte in sedi internazionali, tra cui la Biennale di Venezia 2015, Padiglione Italia e in mostre personali a Palazzo Branciforte, Palermo (2018), Ca' Rezzonico - Museo del Settecento Veneziano, Venezia - Italia (2017), Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea, Torino - Italia (2012), Museo MAXXI, Roma (2012); Museo del Novecento, Milano - Italia (2011); Fondazione Merz, Torino - Italia (2006); FACT The Foundation for Art & Creative Technology, Liverpool - UK (2005); MART, Museo d'Arte Moderna e Contemporanea, Rovereto - Italia (2004); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino - Italia (2004).

Francesco Simeti

Francesco Simeti nasce a Palermo nel 1968. Vive e lavora a Brooklyn, New York.

Attingendo al suo personale archivio di immagini storiche e contemporanee e rielaborandole, l’artista crea collage in cui una realtà evocata e immaginifica diventa sintassi narrativa. Spesso site-specific, le sue opere a un primo sguardo sono fortemente decorative, ma la bidimensionalità del supporto trascende poi in uno spazio privo dei riferimenti della prospettiva tradizionale. Gli elementi naturali, botanici e faunistici proliferano in un vivacismo cromatico e formale che sottende una frenesia compositiva che ha l’aria di un’esplosione di grottesche.

I suoi wallpaper, i lavori scultorei e i collage rivelano un approccio multidisciplinare. Scene incantevoli che a un esame più attento svelano un sottotesto complesso. Simeti rielabora immagini di attualità tratte da quotidiani e riviste che ritraggono scene di conflitti e catastrofi naturali e le sviluppa in collage che mirano a sollevare interrogativi e pensiero critico rispetto alla natura dell’immaginario in cui è immersa la società contemporanea.

Per RAPSODÌE Francesco Simeti realizza True Columbus, un’opera composta da collage di immagini e parole di diversi contesti linguistici e di provenienza. Il loro accostamento sviluppa un’indagine sui temi mitizzati e quanto mai attuali dello sfruttamento razziale e del ruolo che oggi ricopre l’arte pubblica, a partire dalla storia paradigmatica e culturalmente identitaria di Cristoforo Colombo.

La figura del navigatore genovese, caratterizzata in bibliografia da opinioni discordanti sul suo ruolo e i suoi obbiettivi, funge da fulcro per una riflessione più ampia che Simeti affronta a partire da tre testi di epoche storiche e radici culturali diverse: “The Discovery of America by Christopher Columbus” H. Hakes 1892, “The True Story of Christopher Coliumbus” E. S. Brooks 1892 e “Geografia Generale” Bonacci-Orlandi 1934.

Attraverso questi scritti l’artista analizza le conseguenze della “scoperta” dell’America da parte di Colombo e dell’introduzione del concetto di ‘selvaggio’, di come il sogno di un singolo possa cambiare la sorte di molti e di come i retaggi storici e culturali degli eventi si intreccino e si scontrino con esigenze sociali e politiche in rapida e continua mutazione.

In un contesto così attuale come quello della difesa dei diritti civili e sociali, il tema della schiavitù imposta dai coloni europei nei confronti dei nativi americani e delle popolazioni africane, diventa il focus dell’opera di Simeti. Le ascendenze storiche si mescolano alle ultime esperienze politiche, quali il movimento attivista internazionale Black Lives Matter e il dibattito sviluppato di recente sulla rappresentazione in scala monumentale di figure storiche identitarie negli spazi urbani.

Francesco Simeti ha esposto in mostre personali in luoghi come Assembly Room, New York (2019); Open Source Gallery, New York (2017); Hessel Museum, Bard College, New York (2014); Galleria d'Arte Moderna, Palermo (2012); Artists Space, New York (2009). Il suo lavoro è stato inserito in mostre collettive al Museo Civico di Castelbuono, Palermo (2019); ICA Singapore (2017); Palazzo Reale, Milano (2016); e Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea, Torino (2014).

Il Pavone

Fondato a Palermo, Il Pavone è un gruppo formato da quattro artisti siciliani, Sergio Minaldi (1989), Emilio Orofino (1982), Domenico Palmeri (1988) e Genny Petrotta (1990).

Visceralmente attratti dal linguaggio video, spesso creano installazioni multicanale e site-specific, che prendono la forma di vere e proprie esperienze audiovisive. Presupposti imprescindibili per gran parte del loro lavoro sono il paesaggio e gli stimoli che lo animano, presi in analisi per scandagliare gli interstizi che esistono nella forma della relazione tra artificiale e naturale, tra uomo e macchina, tra coscienze guidate da codici antitetici.

È questo lo spazio di relazione al centro delle installazioni de Il Pavone: un varco fatto di tensioni che emergono dal dialogo sempre calibrato tra elementi visivi, sonori, oggettuali e verbali. A partire dallo sguardo sul paesaggio, si aprono solchi di riflessione che interessano l’uomo calato nel contesto sociale della contemporaneità. L’attenzione al sociale e agli aspetti più segreti dell’umanità diventa oggetto di un interesse che ne svela la soggiacente natura mistica.

Per RAPSODÌE gli artisti si sono immersi nella Natura: sostenuti da un lungo periodo di riflessione su se stessi attraverso pratiche corporee olistiche e analisi psicologica guidate, hanno lasciato che la ricerca del mito contemporaneo scavasse in profondità le loro abitudini e i loro pensieri. Ritrovarsi in una notte di luna piena sull’Etna in un bosco di betulle, così come rivedere e riascoltare il videoclip di Mina, ha stimolato nella coscienza dei quattro artisti forme e immagini in cui loro stessi diventando attori e spettatori delle azioni, della natura e del momento vissuto.

La fotografia impressa di questi momenti accompagna l’esperienza intima del fruitore in un percorso di ricerca dell’indole più interna, quella sconosciuta che destabilizza le nostre profondità.

L’opera AMOR MIO assume le forme più diverse: parole, immagini, video e disegni sono le mappe da seguire per percorrere il viaggio personale e paradigmatico che l’uomo si ritrova ad affrontare durante la propria vita.

L’ambiente periferico urbano ha spesso ospitato i lavori de Il Pavone. Anche in questo caso ciò che sta ai margini o all’estremo è stato vissuto come l’esperienza esplorativa di una terra nascosta, che si muove principalmente attraverso la loro percezione sensoriale e l’azione conseguente. Il tatto, la vista, l’udito, l’olfatto sono bussola per le loro azioni, ma anche mezzo tecnico per completare un’istallazione.

Il Pavone ha esposto o performato all'interno di rassegne come Future Landscape, Venezia (2016), Gibellina (2016), Isola di Levanzo (2017), OltreOreto, Manifesta 12 Collateral, Palermo (2018), Cassata Drone, Palermo (2019), Arca di Pan, Perugia (2020). Tra le mostre personali all'interno di gallerie e spazi dedicati alle istallazioni delle opere ricordiamo DOM art-space Palermo (2018), Spazio Y Roma (2019), Chiesa del Piliere, Palermo (2019). Tra le opere realizzate in collaborazione con altri artisti si segnalano: HALF, Lisbona e Amsterdam (2014-2015); Andrea Masu e Claudia di Gangi, Palermpresso lo Studio Bellotti (2019). Tra le mostre collettive, Il Pavone ha esposto al Loggiato San Bartolomeo, Palermo (2019).